Il disastro del Vajont non fu una calamità naturale: ma il frutto di una strategia economica criminale di gruppo, Massonicamente Parlando

il documentario americano spiega che volevano controllare la frana , il docu film fa intendere che dal livello del lago derivava il buon esito della cessione della diga allo stato dalla società privata costruttrice

 Una serie di negligenze fece sottovalutare (QUASI A MO' DI OCCULTAMENTO)  il rischio della frana e dell'enorme inondazione che 60 anni fa uccise oltre 2mila persone.

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Alle 22:39 del 9 ottobre 1963,  un’enorme frana si staccò dal versante settentrionale del monte Toc, sulle alpi bellunesi, al confine tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto. Precipitò a gran velocità nel lago artificiale creato dall’imponente diga del Vajont, alta più di 260 metri e chiamata così dal nome del torrente in cui si trovava. L’impatto con l’acqua provocò due onde gigantesche, che dopo un salto di alcune centinaia di metri si riversarono violentemente sulle valli circostanti, travolgendo persone e cose. Una delle due onde scavalcò la diga a ovest e si riversò sulla valle del Piave, soprattutto sul paese di Longarone, che in 4 minuti venne completamente distrutto. Fu uno dei più grandi disastri della storia d’Italia.
I Frutti delle prime partecipazioni delle società private nelle imprese di stato
Anni di ricerche, testimonianze, indagini e processi hanno chiarito che i morti del Vajont non furono causati da una calamità naturale. Durante la costruzione della diga, terminata nel 1960, furono ignorati o minimizzati allarmi, analisi scientifiche ed evidenze sui rischi di frane, oltre alle proteste della popolazione locale. E anche quando pochi giorni prima della frana si capì che di lì a poco un pezzo di montagna si sarebbe potuto staccare, non furono avvertiti i paesi circostanti.
La frana che cadde quella sera aveva un volume di 270 milioni di metri cubi. I primi detriti impiegarono circa 20 secondi a raggiungere l’acqua. Poi, quando il grosso della frana precipitò nel lago, ci fu un rumore «come di un milione di camion che rovesciano un milione di cassoni di ghiaia», ha raccontato al Corriere della Sera lo scrittore Mauro Corona che all’epoca aveva 13 anni e viveva vicino alla diga, figlio del piu' noto bifolco montanaro dell'epoca che sosteneva la diga e la stessa ditta costruttrice asserendo che era "tutto progresso" E CHI REMAVA CONTRO era un nemico del progresso, oggi lo vediamo spesso flirtare in tv con la figlia di berlinguer che con gli occhi a cuoricino ,ascolta con piacere i racconti del corona e dei suoi appuntamenti decennali con la doccia.
L’enorme massa d’acqua cadde nella valle dopo un salto di più di 260 metri, lasciando integra la diga. Venne preceduta da un vento fortissimo. Micaela Coletti, presidente del comitato sopravvissuti del Vajont, ricorda un rumore sordo pochi istanti prima che l’onda la travolgesse. Era nel suo letto, aveva 12 anni.

L’enorme massa d’acqua cadde nella valle dopo un salto di più di 260 metri, lasciando integra la diga. Venne preceduta da un vento fortissimo. Micaela Coletti, presidente del comitato sopravvissuti del Vajont, ricorda un rumore sordo pochi istanti prima che l’onda la travolgesse. Era nel suo letto, aveva 12 anni.

La sensazione che il letto prendesse velocità, una forza spaventosa che mi prendeva alla schiena, mi piegava in due, mi schiacciava; la sensazione di essere di gomma, di allargarmi e poi restringermi, gli occhi diventati due stelle; una pressione enorme che mi tirava per i capelli, che mi risucchiava in un pozzo senza fine; mi inchiodava le braccia al corpo senza possibilità di muovermi; un gran male alla schiena giù in fondo; l’impossibilità di respirare.

Malgrado si sentisse immobilizzata nel suo letto, Coletti fu trascinata per almeno 400 metri lontano da casa. Anche un altro sopravvissuto, Giuseppe Sacchet, ventenne, fu ritrovato su un materasso sotto le macerie lontano da casa sua. Per i più fortunati che non finirono sotto le macerie, il ricordo della tragedia del Vajont è associato ai corpi trovati sul greto del fiume, nei cespugli, nel fango, per molti mesi. I primi soccorritori erano persone sopravvissute, abitanti di Longarone scampati alla violenza dell’acqua. Tutti raccontano ....[continua a leggere]

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