Il delitto irrisolto dell'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano


 Il delitto della Cattolica è un caso di omicidio commesso il 24 luglio 1971 all'interno dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove una giovane donna, Simonetta Ferrero, venne uccisa. Il caso è rimasto irrisolto. 


Simonetta Ferrero, nata a Serravalle Sesia il 2 aprile 1945 da famiglia benestante piemontese, risiedeva con la famiglia a Milano, dove il padre lavorava presso la Montedison[4]. Laureata nel 1969 in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, dietro raccomandazione di suo padre era stata assunta alla direzione del personale della stessa Montedison presso la sede di piazzale Luigi Cadorna[4].

Sabato 24 luglio 1971 era impegnata con alcune commissioni in quanto la sera stessa sarebbe dovuta partire con i genitori per recarsi in vacanza all'estero. Si recò dapprima in una tappezzeria di corso Vercelli per poi proseguire verso una libreria di corso Magenta per acquistare un dizionario.[1] L'acquisto, comprovato dal successivo ritrovamento dello scontrino fiscale, avvenne esattamente alle ore 10:37. Dopo si recò in via Carducci dove acquistò articoli di profumeria. In tale luogo sono registrate le ultime testimonianze verificabili circa la sua esistenza in vita dal momento che, dopo le 11:30, ora in cui fu vista in profumeria, fino alle ore 13, ora in cui sarebbe dovuta tornare a casa, l'unico evento sicuro è il suo ingresso nei locali della Cattolica attraverso il portone di largo Gemelli.[3]




Non vedendola arrivare all'ora stabilita, i familiari ne denunciarono la scomparsa al commissariato di P.S. di zona Magenta.[1]

La mattina di lunedì 26 luglio, alle ore 9 circa, un seminarista ventunenne di Mogliano Veneto, frequentante Filosofia nell'ateneo cattolico, Mario Toso (oggi vescovo e docente universitario)[5], dopo aver partecipato in università alla messa delle 8 stava recandosi alla segreteria degli istituti religiosi tramite le scale del blocco G, il più distante dall'entrata di largo Gemelli. La sua attenzione fu richiamata dallo scrosciare ininterrotto dell'acqua proveniente dal bagno delle donne. Toso riferì agli inquirenti che la circostanza lo aveva contrariato in quanto — deputato alla gestione dell'ordine dei bagni e delle camerate nel suo seminario — vedeva la cosa come uno spreco e ciò l'indusse quindi a entrare nel locale bagno per chiudere il rubinetto. Una volta entrato scoprì il corpo pugnalato di Simonetta Ferrero.[6][1][3]

La salma, il cui riconoscimento fu affidato a due lontani parenti, perché il padre della ragazza fu colpito da due infarti e la madre ebbe un collasso una volta appresa la notizia, presentava 33 ferite di arma da taglio e sette di esse furono ritenute mortali. Dodici coltellate avevano colpito ventre, collo o volto. Il corpo era vestito, privo di segni che indicassero violenza sessuale e con ferite sulle mani che suggerivano disperati tentativi di difesa messi in atto dalla vittima.[5]



La prima ipotesi fatta dagli inquirenti fu che la vittima si fosse recata in bagno in un luogo a lei familiare per semplici esigenze fisiologiche. Stranamente si diresse verso il bagno del blocco G, anziché quello posto vicino all'ingresso dell'Università.


La seconda ipotesi fu che la donna si fosse recata alla Cattolica per fare un favore a un'amica recuperando degli appunti per un esame. Pochi giorni dopo il ritrovamento, gli appunti furono trovati sulla scrivania della Ferrero.



Fra i primi sospettati ci fu lo stesso seminarista che aveva trovato il corpo ma la pista venne abbandonata presto.[3][2] «Perché il mio assistito avrebbe dovuto tornare sul luogo del delitto? Dove sono i vestiti macchiati di sangue, visto che oggi Toso indossa gli stessi abiti che aveva sabato? Perché avrebbe dovuto aggredire una ragazza che non conosceva e non aveva mai incrociato? Ma soprattutto, dove sono le ferite e i graffi che, secondo i rilevamenti della scientifica, l'assassino si è procurato?» sono le domande verbalizzate dall'avvocato difensore.[senza fonte]

Poco prima della scomparsa la commessa di una profumeria, dove si era recata la vittima, ricordò di aver notato una Fiat 500 bianca accostata al marciapiede di fronte al negozio, ma non seppe dire se a bordo vi fosse qualcuno che aspettava Simonetta e se all'uscita la ragazza salì su quella macchina oppure proseguì a piedi.

Inoltre nell'Università in quel periodo lavoravano alcuni muratori che utilizzavano dei martelli pneumatici ma che, ascoltati in commissariato, risultarono estranei ai fatti. Di conseguenza l'assassino aveva sfruttato o il rumore provocato dai lavori o la pausa pranzo quando l'Università era deserta.[3]

Era da escludere lo scopo di rapina, dato che nella sua borsetta vennero trovate sia lire che franchi francesi e alla vittima non erano stati sottratti neppure alcuni gioielli di valore che indossava, ma rimane in forse il tentativo di violenza sessuale che verrà poi esclusa dall'autopsia.[7] Fu ipotizzato che un possibile movente fosse da ricollegare alla mancata assunzione di qualche laureato alla Montedison, ma la pista fu scartata in seguito alle indagini.[7]

Il 28 luglio fu eseguita l'autopsia presso l'Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni da parte dei professori Guglielmo Falzi e Giuseppe Basile: si constatò che le pugnalate erano state trentatré, tutte inferte con una coltello ben affilato a lama lunga; ventisette su trentatré colpi erano entrati in profondità, colpendo numerose volte il torace e l'addome e con esso gli organi vitali e sette erano risultati mortali, uno dei quali aveva reciso in due la carotide. Inoltre erano presenti altre ferite sulle mani, usate evidentemente per difendersi e alla schiena e fu confermata l'assenza di violenza sessuale.[3][8]

Il 29 luglio, nella chiesa di San Protaso, a piazzale Brescia, si svolsero i funerali della Ferrero celebrati dallo zio monsignore Carlo Ferrero, al quale presenziarono molte crocerossine, studenti della Cattolica e colleghi di lavoro. Le indagini non si fermarono e si allargarono alla provincia seguendo le segnalazioni di alcuni uomini che avevano importunato altre ragazze all'università, ma senza esito. Il 2 agosto gli inquirenti conclusero che l'assassino aveva avuto tutto il tempo necessario per cambiare abito, lavarsi dal sangue della vittima e lasciare l'università deserta. Il 4 agosto furono trovati nella Cattolica un fazzoletto, uno straccio e un indumento blu[9].

L'assassino ha potuto contare su molti elementi a suo favore: l'Università all'ora di pranzo era quasi deserta, si stavano svolgendo rumorosi lavori di ristrutturazione molto vicini ai bagni;[7] forse aveva già incontrato Simonetta di nascosto, la conosceva oppure l'aveva seguita.

Le indagini sulla vita della ragazza non trovano nulla di particolare; non ha fidanzati, è una ragazza seria e precisa e vive ancora con i suoi; da poco lavorava all'ufficio selezione del personale della Montedison. Si ipotizza che magari potrebbe essere stato qualcuno respinto a un colloquio di lavoro.[2] Il movente della rapina venne escluso perché venne ritrovata la borsa con i soldi e aveva ancora un anello d'oro al dito.[7] Si indaga anche su alcuni personaggi sospetti che importunano le studentesse ma anche questa pista non porta a nulla.[2][3] La risonanza mediatica del caso genera anche mitomani che si accusano del delitto; dopo centinaia di interrogatori non si riesce a trovare né testimoni e neanche un movente.[2][7]

Nel 1994 il prefetto di Milano, Achille Serra, ricevette una lettera anonima scritta da una donna che sosteneva che nel 1974, tre anni dopo l'assassinio, una sua amica venne molestata da un religioso della Cattolica che all'epoca prestava servizio all'università e che venne allontanato perché aveva importunato alcune ragazze; anche questa pista però non portò a niente.[2]

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