Nella mia ora di libertà - Fabrizio De André


TESTO

Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile 
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.

È cominciata un'ora prima
e un'ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l'uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci sono stare.

Fuori dell'aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.

Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio.

Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni. 

E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.

Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
abbiamo deciso di imprigionarli
durante l'ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.



VIDEO DELLA CANZONE


Per capirne il senso, bisogna considerare che è il brano finale dell'album “Storia di un impiegato” del 1973.
Un concept che De André non amava affatto, perché oscuro nel linguaggio e troppo politico rispetto alla prospettiva, più intimamente esistenzialista, che lui avrebbe voluto seguire. 
Vi si narra la vicenda umana di un impiegato, ritroso, individualista e ribelle, durante gli anni delle rivolte studentesche del 1968.
Una metafora impietosa del rapporto fra dimensione individuale, sistema sociale, senso di giustizia, viltà umana e istinto alla ribellione a ciò che è costituito e in cui non ci si riconosce più. A ciò che non è possibile correggere e di cui non ci si può liberare, perché ogni ordine richiede anche un potere che lo imponga e lo faccia rispettare, ma ogni potere si rigenera e si ripropone, sempre uguale a se stesso, dopo ogni ribellione.
E' proprio l'impiegato il protagonista della canzone, che parla in prima persona da carcerato. Colui che si è ribellato all'ordine socio-politico, contestando, da idealista ingenuo e sprovveduto, il concetto stesso di potere ed i suoi simboli e valori di riferimento.
Timoroso e diffidente verso la rivolta studentesca (il maggio francese) decide di adottarla in forma violenta: immagina l'annientamento dei riferimenti culturali più “sacri” (comprese le figure dei genitori) durante un “ballo mascherato”, diviene bombarolo ma fallisce, rivive l'incubo di un “nuovo” potere uguale al precedente (nel quale rivede se stesso come suo padre), finché viene tradito e abbandonato dalla sua compagna. Infine, incarcerato, deve prendere atto che la sua reazione-azione, timorosa e violenta, non ha prodotto nulla di positivo.
Perciò l'impiegato, ora detenuto, non vuole e non può identificarsi nei suoi secondini: li vede strumenti di ciò che ha determinato il suo fallimento e non vuole condividere con essi neanche l'aria.
Per lui l'ora d'aria è solo un'illusione di fugace libertà posticcia (è cominciata un'ora prima e un'ora dopo era già finita...), ma ha la conferma che il sistema che ha combattuto è ancora lì, come sempre, a condannare anche gli innocenti (non mi aspettavo un vostro errore...).
In quella straziante delusione, egli riflette su se stesso, quasi estraneato dalla realtà (...in mezzo al fuori anche fuori di là...). Affronta i dubbi sulla sua dignità di uomo rispetto a ciò che ha fatto (ho chiesto al meglio della mia faccia...di dignità), sulla condizione di detenuto (...vagli a spiegare che è primavera... e poi lo sanno...). Soffre ancora, ricordando la donna che l'ha abbandonato, divenendo (grazie a lui) figura del “circo mediatico” (si sta chiedendo...si suggerisce...da un po' di tempo era un po' cambiato, ma non nel dirmi amore mio).
Infine capisce il suo errore: la sua violenza è scaturita dalla violenza propria del sistema stesso, più forte, protratta, subdola e metodica (...una ginnastica d'obbedienza...), ma ogni sistema prevede una forma di potere che, in quanto tale, non potrà mai essere buona (...da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni). Lottare per un'altra “nuova forma di potere” non aveva quindi senso, perché “non ci sono poteri buoni”. E' la disillusione definitiva, la presa di coscienza del fallimento suo e di chiunque volesse riprovarci in futuro.
La penultima strofa descrive un impiegato rassegnato ma non rinunciatario, il cui pensiero è ancora alla ricerca di una (im)possibile soluzione (imparo un sacco di cose...tranne qual è il crimine...per non passare da criminali...ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame).
La canzone chiude con una chiamata in causa dei distratti, degli indifferenti, degli apatici che si ritengono estranei ad ogni responsabilità: “per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti”.


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